Temperature e fioriture

Daniele Besomi

 

 

In un articolo precedente abbiamo visto che le date di inizio fioritura dipendono dalle temperature stagionali, nella forma di accumulo di calore (cioè energia) che le piante posso utilizzare per crescere e passare da una fase fenologica all’altra: rigonfiamento delle gemme, apertura, delle foglie, fioritura —nelle piante a fioritura precoce, la fioritura precede la foliazione; al contrario, quelle a fioritura tardiva aprono le foglie prima di produrre fiori— maturazione dei frutti, caduta delle foglie). Tuttavia, il processo non è così semplice: nei climi temperati con una marcata stagionalità, prima di poter crescere le piante abbisognano di un riposo invernale: prima di poter accumulare il calore, devono trascorrere qualche tempo al freddo.

Quindi, anche volendosi limitare alla temperatura —certo il fattore più importante nel determinare la fenologia delle piante— e ignorando altri fattori più complicati da misurare come per esempio l’umidità del suolo o l’inquinamento dell’aria, è necessario considerare non solo quello che avviene in primavera ma quanto avviene prima della fase di crescita.

Il fabbisogno di freddo

Il concetto importante è quello di fabbisogno di freddo. Le piante decidue si prevengono dallo sviluppare troppo precocemente le proprie gemme —cosa che metterebbe in pericolo foglie e fiori in caso di gelo— mandandole in fase di dormienza. Il segnale di inizio della dormienza viene con i primi freddi autunnali, mentre il susseguirsi di giorni di freddo invernali dà il segnale di risveglio.

Il modo più semplice di misurare la durata del freddo è quello di contare le ore durante le quali la temperatura è compresa tra 0 e 7.2°C: le ore di gelo non contano, perché la pianta si mette in modalità emergenza, mentre la soglia di 7.2°C è stata determinata empiricamente. Ogni specie —e, nel caso delle piante da frutta, ogni cultivar— ha il suo specifico fabbisogno di freddo (qui, per esempio, una tabella col fabbisogni di freddo di diverse piante da frutto e qualche loro cultivar). Se questo non è soddisfatto, la fioritura e la fruttificazione sono più erratici e meno abbondanti o addirittura compromessi.[1]

Come misurare il freddo invernale? Ovviamente lo strumento essenziale è il termometro, ma esistono diversi modelli di calcolo. Il più semplice, e il primo sviluppato, chiamato ‘modello chilling hours’, si limita appunto a considerare il numero di ore in cui la temperatura è compresa tra 0 e 7.2°C. Buona parte delle indicazioni per l’agricoltura è ancora basata su questo modello. Tuttavia, si è presto capito che non tutte le temperature entro questo intervallo hanno il medesimo peso: la temperatura ottimale per la dormienza è attorno a 4°C, mentre temperature vicino a 0°C e vicino a 7.2°C contribuiscono meno. Il secondo modello sviluppato è chiamato ‘modello Utah’: le ore di freddo vengono suddivise in intervalli a cui sono attribuiti diversi pesi, con il massimo (= 1) attorno alla temperatura ottimale, un valore intermedio (= 0.5) vicino ai margini dell’intervallo utile, un valore nullo poco oltre i margini di freddo utili, e un valore negativo (= -1) per le ondate di calore invernale che interrompono la quiescenza e annullano parte del processo di accumulazione di freddo. Infine, è stato sviluppato un ‘modello dinamico’ che riflette il principio del ‘modello Utah’ ma con aggiustamenti graduali dei pesi anziché a intervalli predefiniti.[2]

Il fabbisogno di caldo

Una volta concluso il periodo di dormienza, per poter crescere la pianta ha bisogno di energia, che ricava principalmente dal calore disponibile nell’atmosfera. Le piante reagiscono al calore atmosferico solamente oltre una certa soglia, detta ‘temperatura di base’, specifica per ogni specie e varietà. Ciò che conta per la pianta è il numero di gradi superiori alla temperatura di base, e il tempo durante il quale questa temperatura è mantenuta. Per esempio, se la soglia è 12°C e la temperatura registrata è di 20° per 2 ore, abbiamo un contributo di calore di 16 gradi ora (20°-12° = 8°C moltiplicati per 2 ore). Per passare da una fase fenologica all’altra (apertura delle foglie, fioritura, maturazione dei frutti ecc.) ciascuna pianta deve accumulare un certo numero di gradi ora (o gradi minuto, o più comunemente gradi giorno, a seconda della frequenza con cui è misurata la temperatura), tenendo presente che oltre i 30-32°C il calore aggiuntivo non ha effetto perché oltre quel punto la crescita viene inibita. Di nuovo, ciascuna specie e varietà ha un fabbisogno specifico di gradi giorno.

Requisiti per la fioritura

La data di fioritura dipende sia dal soddisfacimento del bisogno di freddo durante l’autunno e l’inizio dell'inverno che dall’accumulazione di calore oltre una certa soglia a partire dal termine del periodo di quiescenza. I valori del fabbisogno di freddo e del fabbisogno di caldo sono noti per diverse specie vegetali, in particolare quelli delle specie e varietà di interesse agricolo, mentre non sappiamo quasi nulla per quanto riguarda la maggior parte delle specie selvatiche, molte delle quali sono di interesse per l’apicoltura. Per poter determinare (approssimativamente) la data di fioritura di una specifica pianta selvatica (p.es., un pruno selvatico) a partire dalle temperature abbiamo dunque 4 parametri da determinare:

  • Il fabbisogno di freddo;
  • la soglia minima oltre la quale la pianta accumula calore;
  • la soglia massima oltre la quale la crescita si ferma;
  • quanti gradi giorno sono necessari per portare alla fioritura.

Se conoscessimo questi parametri, a partire dalla data di inizio della quiescenza (cioè della caduta delle foglie) e conoscendo l’andamento delle temperature potremmo stabilire la data di fioritura. Non conoscendo i valori dei parametri, possiamo però procedere al contrario: annotare le date di caduta delle foglie e della fioritura, e calcolare a ritroso il valore dei parametri a partire dalle temperature registrate.

Per determinare 4 incognite sono necessarie 4 equazioni, cioè almeno la data di 4 fioriture e perdita delle foglie per specie. Qui dobbiamo anche tener conto del fatto che la temperatura, pur essendo la variabile principale, non è l’unica in gioco. Siccome ci sono dei valori “di disturbo”, quello che si può fare è raccogliere più date di fioriture, e poi procedere in modo statistico, cercando tra le varie soluzioni possibili quella che, in qualche senso da definire, minimizza l’effetto delle variabili di disturbo.

Un semplice modello fenologico

Con l’aiuto di Gemini, l’intelligenza artificiale di Google, ho costruito un semplice modello fenologico che imposta il problema come descritto sopra ed è in grado di risolverlo. Si tratta di un insieme di istruzioni per un foglio di calcolo (in questo caso Google sheets, ma può essere adattato per MS Excel o altri) che richiede come dati di partenza la data della caduta delle foglie e la data di fioritura per almeno 4 anni (non necessariamente consecutivi) e le temperature registrate a distanza di qualche minuto l’una dall’altra (nel mio caso, dispongo di temperature registrate ogni 2 minuti) negli anni in questione, dal momento della caduta delle foglie al giorno di fioritura (naturalmente le serie possono anche essere più lunghe, ma per ogni specie vegetale questi sono il punto di inizio e fine calcoli). Per rendere la massa di dati gestibile dal foglio di calcolo (i dati meteo di cui dispongo su 4 anni sono quasi 800'000), il modello parte da un riassunto giornaliero, calcolato separatamente.

Per ogni giorno nel periodo rilevante vengono calcolati, tramite delle macro specifiche che coputano a partire dalle temperature registrate ogni 2 minuti:

  • i minuti di freddo utile a soddisfare il bisogno delle piante, calcolati secondo il ‘modello dinamico’ di cui si parlava in precedenza
  • l’accumulo di calore assumendo che la temperatura di base sia = 0°C, poi 2.5°C, 5°C eccetera fino a 15°C
  • il numero di minuti durante i quali la temperatura è superiore alle soglie appena indicate (0°, 2.5°, 5° ecc.)

Da questi ultime due serie di dati, il modello stima l’accumulo di calore per diverse temperature di base (il calcolo è approssimato, ma l’errore non è troppo grosso; volendo, si potrebbe affinare ulteriormente calcolando il calore accumulato per una serie più fitta di temperature di base), e a questo punto può costruire le equazioni che portano alla data di fioritura per diversi valori dei parametri. Il modello sceglie poi, tra i risultati, quelli che minimizzano la variabilità dei tempi di crescita (il coefficiente di variazione è definito come il rapporto tra la deviazione standard e la media dei gradi minuto necessari all’apertura dei fiori, come calcolati anno per anno).

Detto così sembra tutto molto astratto, ma l’applicazione a un caso concreto chiarisce il significato dell’operazione.

Il caso del corniolo e del pruno selvatico

Le mie serie di dati storici delle temperature non sono ancora molto lunghe. Siccome sono state raccolte per lo studio delle condizioni termiche degli alveari, in particolare per esaminarne le condizioni invernali,[3] non ho conservato molti dati estivi. Dispongo dei dati relativi gli inverni 2021-22 e 2022-23, e solo da maggio 2023 i dati sono continui. Questo significa che solo una manciata di piante a fioritura invernale offrono abbastanza dati per poter applicare il modello, in particolare se si adotta una versione ridotta: poiché in inverno non c’è il rischio che le temperature siano tanto alte da inibire lo sviluppo delle piante, possiamo temporaneamente ignorare una delle nostre incognite: la soglia di calore oltre la quale la crescita si arresta. Restano dunque 3 incognite, il che permette di ragionare sulle piante per cui si dispone di almeno 3 date di fioritura.

In realtà c’è una quarta incognita: un dato di cui non avevo preso nota, quella della caduta delle foglie. Grossomodo, comunque, nella mia stazione avviene a principio novembre, quindi ho tentativamente fissato la data di inizio della dormienza al 1 novembre. Ho inserito le date note delle fioriture per le due uniche specie per le quali dispongo di 4 dati e una serie completa di valori della temperatura nel periodo rilevante, e fatto girare il modello.

I risultati sono interessanti. Partiamo dal corniolo (Cornus mas). Le fioriture sono avvenute nei giorni seguenti: 27 gennaio 2022; 15 febbraio 2023; 5 febbraio 2024; e 27 febbraio 2025. Il modello ha trovato i seguenti parametri:

  • Fabbisogno di freddo: 1501 minuti
  • Temperatura di base: 0°C
  • Fabbisogno di caldo: 675'208 gradi crescita * minuto
  • Coefficiente di variazione: 9.11%

Cosa significa? Il fabbisogno di freddo sembra essere molto basso: nel 2024, per esempio, è stato raggiunto in due soli giorni di freddo (dopo, però, che inizio novembre è stato tanto caldo da causare 6 giorni di “raffreddamento negativo”), il che è piuttosto sospetto. A partire dal 9 novembre, tutte le temperature superiori a quella di base (0°C) sono utili e accumulabili per la crescita. Questo porterebbe alla fioritura dopo 675'208 gradi*minuto. Calcolando a partire dalle temperature effettivamente registrate nell’inverno 2024-25, questo significherebbe che il corniolo avrebbe dovuto fiorire il 5 marzo 2025, cioè 6 giorni dopo quanto effettivamente successo. Naturalmente la presenza di errori (in eccesso e in difetto) è naturale, e misurata dal coefficiente di variazione: l’errore medio nella previsione è del 9.11%, a causa di tutti i fattori che determinano la durata del riposo invernale e la successiva crescita, ma anche di eventuali errori di specificazione del modello.

Il modello si comporta meglio quando applicato al pruno selvatico (Prunus domestica var. insititia). Le fioriture che ho registrato iniziano il 10 febbraio 2022; 13 marzo 2023; 8 febbraio 2024; e 26 marzo 2025. Il risultato prodotto dal modello è:

  • fabbisogno di freddo 7'501 minuti;
  • temperatura di base 1.8°C;
  • fabbisogno di caldo 504'643 gradi minuto
  • Coefficiente di variazione 3.79%

Il fabbisogno di freddo è sempre sospettamente basso: 7501 minuti corrispondono al freddo accumulato in 10 giorni, coi dati meteo del 2024 (che icludono sempre i 6 giorni a raffreddameto negativo. A partire dal 17 novembre 2024, le temperature superiori a 1.8°C permettono alla pianta di accumulare calore. I 504'643 gradi*minuto stimati dal modello sono stati raggiunti il 24 marzo 2025, cioè 2 giorni in anticipo rispetto alla fioritura effettivamente registrata. L’errore è dunque minore rispetto al corniolo, e in effetti il coefficiente di variazione è molto minore.

Anche nel caso del pruno, però, l’accumulo di freddo è particolarmente breve, ed è anche strano che la soglia di riscaldamento sia quasi altrettanto bassa del corniolo. Che entrambe siano basse è normale, trattandosi di fioriture precoci. Tuttavia è difficile che bastino una manciata di giorni di freddo per soddisfare il loro fabbisogno.

L’inizio della dormienza

Come detto, non ho registrato la data della caduta delle foglie, che è l’indicatore biologico dell’inizio della dormienza: le piante hanno riassorbito i nutrienti delle foglie (cosa che causa il cambiamento i colore), e sono pronte all’invernamento.

Mi sono dunque chiesto se la scelta del 1 novembre come data di partenza potesse aver comportato grossi errori nella stima, e ho dunque provato qualche data alternativa. L’esito è che cambiameti anche di pochi giorni possono causare importanti variazioni nella stima dei parametri.

Facendomi guidare dal modello statistico, ho cercato la data —comunque attorno a principio novembre— che minimizzasse il coefficiente di variazione. Per il corniolo ho trovato il 12 novembre, per il pruno il 28 di ottobre. I risultati sono ben diversi: ricalcolando a partire da queste date, per il corniolo risultano i segueti parametri:

  • Fabbisogno di freddo = 31'000 minuti
  • Temperatura di base = 2.5°C
  • Fabbisogo di calore = 170'988 gradi*minuto
  • Coefficiente di variazione = 8.73%

La lettura è ora ben diversa: il fabbisogno di freddo è piuttosto consistente: sempre considerando i dati dell’inverno 2024-25 come esempio, i 31'000 minuti (calcolati col metodo dinamico) ci portano al 18 dicembre: la pianta ha dunque dovuto accumulare 36 giorni di freddo prima di poter cominciare ad accumulare calore. Comincia ad avere senso. Da quel momento, deve accumulare calore al di sopra di 2.5°C (mentre prima bastava che fosse >0), e le bastano 171'000 gradi minuto. Cosa che, con i dati meteo 2025, è avvenuta il 27 febbraio. L’errore è sceso da 6 a 2 giorni rispetto alla data effettivamente registrata della fioritura, il 25 febbraio.  Ma, soprattutto, i risultati hanno molto più senso biologico.

Per quanto riguarda il pruno il modello produce le seguenti stime dei parametri:

  • fabbisogno di freddo = 41'000 minuti
  • temperatura di base = 6.3°C
  • fabbisogno di calore per la fioritura = 91'976 gradi minuto
  • coefficiente di variazione: 1.42%

Come nel caso del corniolo, abbiamo un consistente aumento del fabbisogno di freddo, che con i dati dell’inverno 2024-25 sono stati soddisfatti il 31 dicembre. Dal 1 gennaio, la pianta ha potuto accumulare calore quando la temperatura saliva al di sopra di 6.3°C; il fabbisogno di calore previsto dal modello è stato raggiunto il 26 marzo: esattamente la data effettivamente misurata.

Anche nel caso del pruno, non solo è migliorato il margine di errore (più di quanto non sia migliorato nel caso del corniolo), ma i dati hanno molto più senso: l’inverno deve essere un vero inverno, con freddo a sufficienza per permettere la dormienza delle piante, e il riscaldamento solare deve essere sufficiente da dare l’impressione che la primavera si avvicini.

Naturalmente spostare la data d’inizio della dormienza in modo uniforme per tutte le annate non è una ‘soluzione’ al problema: Quello che bisognerà fare è registrare le date di effettiva caduta delle foglie di ciascuna specie, e utilizzare individualmente questo rilievo fenologico tra i dati iniziali forniti al modello, assieme alla data di fioritura.

Conclusioni

Questa modellistica ignora parecchie cose per concentrarsi unicamente sull’effetto della temperatura, e i dati da cui sono partito sono ancora troppo scarsi. Eppure, il modello comincia a produrre valutazioni sensate dei parametri, purché venga nutrito con i dati corretti. È apparentemente piuttosto curioso che per avere informazioni sulla data di fioritura sia necessario partire dalla data di caduta delle foglie nell’autunno precedente —cosa che a sua volta dipende dall’intera stagione precedente, e via risalendo. Ma sarebbe ingenuo pensare che il passato recente sia cancellato dallo scorrere delle stagioni: come ogni dinamica che si rispetti, quella delle fioriture (e delle altre fasi fenologiche) si concatena con la propria storia, che viene registrata nei dati di sviluppo delle piante. Naturalmente gli eventi recenti hanno più peso di quelli del lontano passato, ma non lo cancellano bensì si sovrappongono ad esso.

Abbiamo visto che la stagione corrente (2025), almeno nella seconda parte, è in anticipo sulla precedente. Al momento (14 ottobre 2025) sembrerebbe che la colorazione e la caduta delle foglie sia in anticipo rispetto a quella dell’anno scorso, il che avrà delle conseguenze sulle fioriture dell’anno prossimo. Certo, questo anticipo potrebbe essere compensato da una stagione invernale altrettanto calda, oppure eccessivamente fredda con molte giornate di gelo continuo, che impedirebbe l’accumulo di freddo nella fascia di temperatura utile alla dormienza delle piante.

La cosa interessante da notare è che, come la fenologia delle piante, anche quella delle nostre api è in anticipo: la cessazione della covata, che riflette la disponibilità di polline, nell’autunno 2025 precede nel calendario quella dell’anno precedente e anche quello che fino a qualche tempo fa sembrava essere lo standard. Se questo è un bene perché interrompe il ciclo riproduttivo della varroa, va ricordato che la ripresa della covata dipende a sua volta dalla nuova disponibilità di polline nel nuovo anno, ed è dunque legata ancora alla fenologia delle piante, dunque principalmente all’andamento delle temperature. Potrebbe dunque intercorrere un tempo particolarmente lungo prima che le api invernali siano sostituite da api giovani, con i rischi corrispondenti.

Questo tra fenologia delle piante e delle api è un legame sul quale sarà interessante provare a riflettere. Non, naturalmente, nel senso banalmente meccanicistico di certe indicazioni agli apicoltori “quando fiorisce X fai questo e quando fiorisce Y fai quest’altro” [4], ma nel senso che anche una colonia di api segue delle fasi fenologiche ben precise (inizio della covata, produzione dei primi fuchi, produzione di cera, celle reali, sciamatura, raccolto o raccolti, eliminazione dei fuchi, cessazione della covata) che sono collegate con la disponibilità o la scarsità di nettare e polline. Qui confluiscono in modo intrinsecamente complesso considerazioni fenologiche, principalmente (ma non solo) legate alle temperature, sulle condizioni che influiscono sulla possibilità delle piante di produrre flussi nettariferi e polliniferi,[5] e sulla situazione sanitaria delle colonie di api che permettono o meno di approfittare delle buone fioriture dalle quali la salute stessa delle api alla fine dipende.[6]

 

Note

[1] Una domanda interessante riguardante le api e l’apicoltura è se la mancanza di freddo non comporti anche una riduzione della produzione di nettare: questione che diventa sempre più rilevante con l’intensificarsi del riscaldamento globale

[2] Per un buon riassunto non specialistico di questi concetti, con una descrizione dei vari modelli e un elenco di fabbisogni di freddo di diversi cultivar di mirtillo, si veda https://italianberry.it/news/dormienza-e-ore-di-freddo-nei-piccoli-frutti-definizione-processo-e-modelli-calcolare-le-unita-di-freddo.

[3] Le temperature interne all'alverare non sono particolarmente interessanti durante il periodo estivo, quado le api termoregolano strettamente indipendentemente dalla temperatura esterna. Le temperature invernali, dentro l'arnia in relazione a quanto succede fuori, sono invece molto più interessanti: v. le temperature dell'arnia nel corso dell'anno.

[4] V. per esempio il 'concetto aziendale' di Apiservice o il più riflessivo progetto Sare. I principali problemi di questi modelli sono in primo luogo che assumono che il divario tra una fioritura e l’altra sia approssimativamente costante, mentre in realtà dipende dall’andamento delle temperature perché un’improvvisa ondata di calore o di freddo può accelerare o ritardare le fioriture successive rispetto alle precedenti (v. il già citato esempio delle fioriture della prima e seconda metà del 2025), e in secondo luogo perché una fioritura non necessariamente porta nettare e/o non necessariamente le api possono usufruirne.

[5] V. per esempio Daniele Alberoni, Luca Bosco e Enrico Ercole, Flussi nettariferi: complessità, L'Apis, dossier allegato al n° 9, 2021. Il tema, inclusa un'anticipazione della ricerca i questione, è stato presentato alla conferenza dal medesimo titolo tenuta da Daniele Alberoni, Chiara Braglia e Zed Nabulsi il 14 febbriaio 2025 a Bellinzona. Una conferenza sul tema di due degli autori è disponibile su youtube.

[6] D. Besomi, Scarsità di polline e funzionamento della colonia, L'Ape, luglio-agosto 2018.

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