Quanto mangia una colonia di api durante un inverno?
Daniele Besomi
Siamo a fine maggio 2024. La caratteristica essenziale della stagione apistica fino a questo momento è che le api non trovano nulla da mangiare: forse un po' di polline, ma certo non trovano nettare. Gli apicoltori devono nutrire le api affinché non muoiano di fame. Lo stesso era successo nella primavera del 2023, anche se in condizioni meteo esattamente opposte: quest'anno piove troppo e fa relativamente freddo, l'anno scorso ha fatto parecchio caldo ma non ha piovuto, e in ciascuno dei due casi le piante non sono riuscite a produrre nettare.
Il clima ci sta senz'altro mettendo lo zampino, ma dobbiamo chiederci: la pratica apiculturale non ha qualche colpa? Da diversi anni, ormai, è diventata pratica corrente nutrire le api per quasi 10 mesi all'anno, dall'asportazione del miele fino all'arrivo del successivo flusso nettarifero. A parte i costi, alle api non fa certo bene mangiare sciroppo anziché miele, e anche l'attività dell'apicoltore non è più particolarmente gratificante. E se, per ragioni prudenziali, si nutrisse troppo, si corre il rischio che le api trasferiscano parte dello sciroppo nel melario, inquinando il miele.
Per porre le basi per dare una risposta a questa domanda conviene usare come termine di riferimento qualche colonia di api a cui non sia stato sottratto il miele. Personalmente ne gestisco 4 in questo modo, di cui tre mie: due sono in tronchi d'albero, ottimamente coibentate, che dunquue non sperperano energia per riscaldare il nido; una è in un'imitazione di un tronco, in una struttura in plexiglas rivestito di polistirolo che garantisce un'isolazione migliore di quella di una cassa di legno. Queste arnie non sono dotate di bilancia, ma essendo dotate di finestre è possibile esaminare visivamente lo stato delle scorte. La quarta arnia è quella didattica della Sezione di Lugano della FTA: una Dadant a favo caldo, in legno da 27 mm con una buona coibentazione del coprifavo, dotata di 14 telai occupati dalle api, con sesnori di temperatura e bilancia.
Le colonie che abitano questi nidi sono state libere di fare raccolto e, almeno quelle dei tronchi e della struttura ad imitazione di tronco, erano libere di organizzarsi gli spazi come preferissero. Il raccolto del 2023 è stato abbondante, e tutte le colonie avevano riempito il nido all'inverosimile, lasciando poco spazio per la covata. Difficile quantificare le scorte in chilogrammi nei tronchi, ma certamente occupavano tra i due terzi e i tre quarti del volume disponibile.
Scorte nel nido in un tronco di castagno al 21 agosto 2023, e nel nido in una quercia, dicembre 2023; si noti la regina di vespa che sverna al calduccio tra le scorte.
Le scorte dell'arnia Dadant ammontavano a circa 30 chilogrammi: l'arnia con api e poca covata pesa circa 62 kg, mentre alla fine del raccolto la bilancia indicava quasi 92 kg.
Le api in uno dei tronchi (il più piccolo, in una quercia, circa 43 litri) e l'imitazione del tronco (circa 60 litri) hanno esaurito le scorte attorno a fine aprile. Nell'altro tronco (castagno; poco meno di 60 litri, ma non ancora completamente rimpito di favi) lo scorte suno durate 2-3 settimane in più, ma alla fine è stato necessario nutrire.
Nell'arnia Dadant possiamo quantificare più accuratamente il consumo effettivo. Il grafico riporta il peso registrato dalla bilancia dalla fine del blocco di covata (10 agosto 2023) al 30 maggio 2024:
Pesate della bilancia dell'arnia didattica di Castensago, 10 agosto 2023 - 30 maggio 2024
Dopo il raccolto, la bilancia indicava poco meno di 92 kg. Il peso naturalmente riflette anche pioggia e neve, ma la tendenza è chiaramente al ribasso fino al 4 e 5 febbraio 2024, quando le api hanno saccheggiato una colonia dei dintorni portando via oltre 3 kg di scorte, probabilmente un misto di miele e sciroppo. Dopo il saccheggio il peso ha ricominciato a scendere, arrivando a 70 kg a fine aprile, corrispondenti a un consumo totale netto di 26 kg. Un controllo in quel momento ha rivelato che le scorte erano praticamente esaurite, in corrispondenza di 10 telai di covata. Da quel momento è iniziata la nutrizione, per un totale di 8 kg aggiuntivi di sciroppo (al 30 maggio). La covata occupa ora 12 telai estesi.
Questi dati devono far riflettere. Il fatto sconcertante è che le api non sarebbero in grado di sopravvivere contando unicamente sul raccolto dell'estate precedente, anche quando questo è particolarmente abbondante e ad esso si aggiunge il prodotto di un saccheggio. Le api di Castensago e dei tronchi hanno potuto usufruire dell'intero loro raccolto, mentre le altre api gestite da apicoltori (incluso il sottoscritto, ovviamente) non sono così fortunate: la parte di raccolto asportata dall'apicoltore andrà dunque compensata, con un prodotto qualitativamente inferiore dal punto di vista nutrizionale. Certamente le poche risorse offerte dall'ambiente nei mesi di primavera quest'anno sono venute a mancare quasi completamente. Tuttavia occorre chiedersi se, con una presenza inferiore di api sul territorio, la diminuzione del numero di commensali non avrebbe permesso di incamerare qualcosa di più e ridurre la pressione sulle scorte.
Gli apicoltori possono compensare, anche se in modo non del tutto soddisfacente, la mancanza di nettare. Ma che ne è del polline? Durante questa primavera siamo stati spesso al di sotto del limite necessario dell'apporto di polline: la covata si è fermata o è rallentata più volte, in qualche occasione perché ha piovuto molto a lungo e le api non potevano uscire, ma in altre occasioni le api hanno ridotto la covata perché —pur potendo uscire— non trovavano abbastanza polline. Molti apicoltori avranno notato che la produzione di fuchi e di celle reali è stata ridotta al minimo, o a volte addirittura sospesa, e anche le celle di operaie spesso non erano completamente occupate; le larve, anziché galleggiare nella pappa reale, sono spesso state preoccupantemente asciutte. Qui, a maggior ragione, occorre riflettere sulla capacità di carico dei nostri sistemi ambientali in condizioni di stress come quelle che stiamo vivendo in questi giorni, ricordando che larve allevate con polline insufficiente sono più devoli, vivono meno a lungo e sono più soggette a malattie. Quali conseguenze vedremo già questa estate?