Aiutare le colonie deboli riscaldando l'arnia? di Daniele Besomi
Uno studio turco
Un interesante studio pubblicato da un gruppo di ricercatori turchi[1] ha analizzato l'effetto dell'inserimento di un riscaldamento in arnie con colonie deboli per verificare se si migliorino le possibilità di sopravvivenza.
La premessa degli autori è che api in generali condizioni di stress sono più suscettibili di colonie forti agli effetti delle variazioni meteorologiche, in particolare i momenti di intenso freddo possibili durante l'inverno. Nonostante la convinzione di molti apicoltori che le api non muoiano di freddo, colonie deboli hanno difficoltà a termoregolare durante periodi con temperature molto basse, e possono dunque soccombere. In effetti, il grosso delle perdite registrate durante lo studio ha riguardato colonie non riscaldate (il gruppo di controllo) ed è avvenuto durante episodi di freddo intenso.
L'esperimento, condotto negli inverni 2018-19 e 2019-20, è consistito nel riscaldare dall'interno 20 colonie deboli, con 4 telai ricoperti di api nel 2018-19 e solo 2.4 nel 2019-20, mentre 10 colonie di uguale forza costituivano il gruppo di controllo. Il riscaldamento poteva fornire 45W, e l'aria calda veniva fatta circlare all'interno dell'arnia tramite un ventilatore lento. L'unico sensore di temperatura era sistemato dentro l'arnia sopra il centro del glomere. Il calore era fornito quando la temperatura interna scendeva sotto i 10° nel periodo senza covata, e sotto i 20° in presenza di covata.
I risultati sono stati i seguenti:
- La temperatura nelle arnie riscaldate sono state significativamente superiori rispetto a quelle delle arnie non riscaldate in novembre e dicembre 2018, inferiori a gennaio 2019, e non significativamente diverse a febbraio. L'anno sucessivo, le temperature delle arnie riscaldate sono state significativamente superiori tra dicembre e febbraio, con fluttuazioni di ampiezza minore.
- Riguardo all'umidità relativa, non si sono registrate differenze significative tra le arnie test e quelle di controllo nel 2018-19, mentre l'anno successivo le arnie riscaldate presentavano un'umidità significativamente minore rispetto alle altre.
- Il numero di telai ricoperti di api, che era stato egualizzato all'inizio delle misurazioni, ha iniziato a crescere in aprile nelle arnie riscaldate, mentre nel grupo di controllo ha iniziato a diminuire. Il vantaggio del gruppo riscaldato si è mantenuto fino a giugno, quando la situazione si è riequilibrata.
- Perdite di colonie: nel gruppo non riscaldato, entro aprile è perito il 40% delle colonie, mentre nel gruppo riscaldato le perdite a giugno sono state cumulativamente il 15%
- Infine, per quanto riguarda la varroa, l'infestazione percentuale era significativamente più alta nelle colonie riscaldate (1.7 ± 0.42) rispetto al gruppo di controllo (0.43 ± 0.827).
La conclusione è che il riscaldamento dell'arnia, riducendo la necessità di riscaldare da parte delle api, riduce il fabbisogno energetico e con esso il rischio di esaurire le scorte di cibo, il che spiega la diminuita mortalità e maggiore vitalità delle api. Gli autori credono dunque che una tale misura possa contribuire a salvare delle colonie, ma avvertono che il metodo è molto più efficiente nel caso di colonie deboli, in quanto le colonie più forti sono comunque in grado di termoregolare efficentemente, purché abbiano sufficiente cibo a disposizione.
Osservazioni su un'arnia di osservazione riscaldata in Ticino, inverno 2022-23
A fine primavera 2022 ho sistemato uno sciame artificiale in un'arnia di osservazione in plexiglas, ricoperta da un cappotto isolante in PSX amovibile, a base esagonale (lato: 16 cm) e di altezza utile 90 cm. Non ho fornito alle api alcun supporto né indicazione per la costruzione, ed erano dunque libere di organizzarsi come preferivano. Sfortunatamente la colonia è risultata priva di regina, così che le api sono rimaste per qualche tempo in stato piuttosto confuso: anziché costruire dall'alto, come fanno di solito (v. il blog Vita da sciami), hanno iniziato a costruire dalla parete posteriore e dal basso. Capito il problema ho dato loro una nuova regine e ho rimpolpato con altre api, ma queste hanno dovuto adeguarsi al vincolo architettonico della costruzione originale. Alla fine dell'autunno si sono dunque ritrovare su 3-4 favi più o meno paralleli alla parete posteriore, mentre la metà frontale dell'arnia era completamente vuota: una struttura difficilmente riscaldabile.
Ho dunque avuto la medesima idea dei ricercatori turchi: aiutare le api con un piccolo riscaldamento, ben più modesto del loro sia come apparato che soprattutto come consumo energetico: un tappeto riscaldante per terrari della potenza di circa 6W[2], inserito tra il plexiglas e la lastra di polistirene, in basso, sulla parete posteriore, in modo che il calore che passava attraverso il plexiglas non si disperdesse ma semmai salisse tra la parete e il primo favo. L'arnia è dotata di 3 sensori di temperatura e umidità, situati in alto, al centro e in basso in una colonna di legno centrale, e di 2 sensori di CO2, nella medesima colonna posizionati in alto e al centro. I dati sono registrati ogni 5 minuti, il che permette di esaminare in dettaglio l'evoluzione dei parametri fisiologici delle api. I sensori, tuttavia, sono inseriti in una colonna centrale, solo un lato della quale era incorporato nella costruzione delle api. Non avendo a disposizione delle colonie di controllo, ho attivato e disattivato più volte il riscaldamento per poter misurare le differenze. Un esempio di grafico con i dati grezzi è il seguente: i cambiamenti di colore in ciascuna linea indicano le fasi di accensione e di mancanza del riscaldamento; dall'alto, le linee rappresentano l'umidità relativa, la temperatura, l'umidità assoluta e il deficit di pressione del vapore. La prima fase è in assenza di riscaldamento. |
Da questo grafico è difficile ricavare delle indicazioni sull'effetto del riscaldamento, in quanto le linee non presentano dei salti evidenti al momento del cambio di regime. Tuttavia con qualche elaborazione si ricavano due risultati interessanti.
Poiché le temperature invernali del glomere riflettono quello che accade all'esterno (v. Le temperature dell'arnia nel corso dell'anno), ha più senso ragionare sulla differenza tra la temperatura interna e quella esterna piuttosto che sulle temperature assolute. Il grafico seguente riporta queste differenze sul sensore centrale e quello in basso (il sensore in alto ha perso diversi dati per un malfunzionamento). Si noti che le api iniziano l'inverno in basso, poi risalgono man mano che si mangiano le scorte, im modo da avere sempre delle scorte immediatamente sopra la loro testa; la risalita, comunque, all'inizio è molto lenta, e diventa evidente solo quando la presenza di covata accelera il consumo.
Qui si comincia a intravvedere che nelle fasi col riscaldamento acceso (tratti vedi e rossi) all'interno è un po' più caldo, e le fluttuazioni sono di ampiezza minore. Per accertarcene possiamo verificare due cose. La prima sono i valori medi, gli estremi e gli scarti dalla media, rappresentati nel seguente diagramma:
Il sensore centrale misura mediamente una differenza di 9.95°C rispetto alla temperatura esterna quando il riscaldamento è acceso, e di 8.85° quando è spento, permettendo dunque un guardagno medio di 1.1°C. Il sensore in basso (più vicino alle api) registra un aumento di 1.64°C con l'accensione del riscaldamento, da 10.00°C senza riscaldamento a 11.64° con il riscaldamento. Entrambi i sensori mostrano una netta differenza sia nei valori estremi (linee sottili) che nello scarto dalla media (spessore dei rettangoli).
Più in dettaglio, possiamo anche vedere come si distribuiscono le differenze di temperatura tra esterno e interno. I prossimi due grafici mostrano la distribuzione di frequenza nelle occorrenze delle differenze di temperatura tra riscaldamento acceso e spento, dapprima per il sensore centrale e poi per quello in basso:
Da questi grafici risulta ancora più evidente non solo il fatto che la differenza media tra la temperatura interna e esterna cresce con l'accensione dei sensori, ma anche che queste differenze sono molto meno variabili. Quest'ultimo potrebbe in effetti essere il vantaggio maggiore. la presenza di un riscaldamento aiuta le api a regolare meglio le temperature dell'arnia.
Il secondo risultato interessante riguarda proprio lo sforzo che le api devono fare per condurre le proprie attività. Questo può essere misurato tramite i sensori di concentrazione dell'anidride carbonica: quanto più lavoro le api stanno compiendo, tanto maggiore è il valore di CO2. Con un'eccezione: se all'esterno c'è vento, oppure se le api stanno ventilando, la concentrazione di anidride carbonica è abbassata grazie allo scambio di arnia con l'esterno. Il primo grafico mostra la dispersione dei valori registrati attorno alla media. In alto, il valore medio dell'anidride carbonica è leggermente superiore quando il riscaldamento è acceso; questo è controintuitivo, ma potrebbe essere dovuto al fatto che, essendo la temperatura maggiore, le api hanno qualche possibilità di movimento in più e potrebbero temporaneamente spostarsi verso l'alto, per esempio per rifornirsi di cibo. Al centro, come ci si dovrebbe aspettare, il valore medio diminuisce con l'accensione del riscaldamento. Dunque, la temperatura è maggiore con uno sforzo mediamente minore. La dispersione attorno alla media è minore sia in alto che al centro quando il riscaldamento è acceso:
I grafici di frequenza relativa mostrano un comportamento diverso da parte delle api: quando il riscaldamento è spento (linee blu), ci sono due regimi: il picco nettamente maggiore corrisponde a una situazione di bassa attività delle api, a circa 1'500 - 2'000 ppm (si consideri che il valore a regime durante la stagione attiva è indicato in letteratura attorno a 1-1.5% con punte anche oltre 2%, cioè 10-15'000 ppm e oltre 20'000 ppm[3]), mentre vi è un secondo picco attorno a 12'000 ppm, che è un regime ad alta attività. Anche quando il riscaldamento è acceso (linee rosse) vi sono due picchi, ma meno marcati: il primo è a regime di bassa attività, con valori simili a quado il riscaldamento è spento; il secondo è ad attività media, attorno a 8'000 ppm. Momenti ad attività sopra 10'000 ppm sono rari quando il riscaldamento è acceso.
Congiuntamente, i dati sulla differenza di temperatura con l'esterno e sulla concentrazione di CO2 dicono che quando fuori fa freddo, le api devono attivarsi per scaldare l'arnia. Ma con il riscaldamento acceso riescono a mantenere temperature superiori pur compiendo uno sforzo minore. Naturalmente questo non è molto sorprendente.
Non potendo disporre di dati sull'estensione della covata, occorre accontentarsi di una descrizione qualitativa dello sviluppo della colonia. Mentre con la (relativamente) fredda e piovosa primavera del 2023 le altre colonie languivano, la colonia riscaldata è riuscita a completare la costruzione del nido, ha sciamato il 6 maggio (lo sciame ha a sua volta costruito l'intero nido e ha prodotto 2 melari di miele estivo), prodotto uno sciame secondario qualche giorno dopo, ricostruito l'intera popolazione al punto che durante il raccolto non c'era neppure posto per le api:
Questo risultato corrobora quello ottenuto dai ricercatori turchi: un riscaldamento può senz'altro aiutare una colonia debole non solo a sopravvivere ma anche a prosperare. Naturalmente sarebbe meglio evitare fin dal principio che il calore prodotto dal glomere si disperda, tramite una appropriata coibentazione dell'arnia, anziché fornirgliene a posteriori. Tuttavia il modo in cui le api adattano il loro comportamento alla nuova condizione termica è interessante e suggerisce altre sperimentazioni, approfittando anche del fatto che tutto è già settato per riprovare ora che la colonia funziona a piano regime e ha completato il nido, avvolgendo interamente la colonnina dei sensori —ovviando così al più ovvio difetto dei dati presentati qui. À suivre …
Riferimenti bibliografici
[1] Ibrahim Çakmak, Basri Kul, Faten Ben Abdelkader, Selvinar Seven Çakmak, Effects of temperature adjustment with a heating device in weak honey bee colonies in cold seasons, Int J Biometeorol, 2023 Aug 16. doi: 10.1007/s00484-023-02537-w
[2] Il consumo metabolico di una colonia, a seconda della temperatura esterna, richiede attorno ai 25W per chilo di api (più o meno il peso di un glomere invernale, corrispondente a 10-12'000 api), a pieno regime, parecchio meno nel caso di temperature invernali miti e in assenza di covata (E. E. Southwick, Metabolic energy of intact honey bee colonies. Comp. Biochem. Physiol 71A: 277-281 (1982). Per una traduzione grafica dei calcoli di Southwick v. Randy Oliver, The Physics of the Winter Cluster). I 6W del riscaldamento che ho fornito contribuiscono dunque a più di un quarto del fabbisogno energetico (se trascuriamo le dispersioni di calore che probabilmente ci sono).
[3] E. Southwick e F. A. Moritz, Social control of air ventilation in colonies of honey bees, Apis mellifera, J. Insect Physiol. Vol. 33 No. 9 pp. 623-626 (1987); W. G. Meickle, A. Barg e M. Weiss, Honey bee colonies maintain CO2 and temperature regimes in spite of change in hive ventilation characteristics, Honey bee colonies maintain CO2 and temperature regimes in spite of change in hive ventilation characteristics Apidologie (2022) 53:51
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